La separazione

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COME E QUANDO DIRLO AI FIGLI

I genitori che stanno per separarsi hanno comprensibilmente tanti e tali problemi che tendono a semplificare le cose. Una delle peggiori semplificazioni, forse la più nociva, è quella di non parlarne ai figli. Questi, però, hanno un gran bisogno di sentire, dalla voce dei diretti interessati, quello che sta accadendo. Ne consegue la necessità di porre il massimo dell’attenzione nel comunicare ai figli una decisione che li coinvolge e che cambierà in ogni caso la loro vita. In quei frangenti nulla è secondario o accidentale. Tutto va preparato con cura, senza tuttavia che il dialogo sembri la recita di un copione imparato a memoria. Diffidate dalle formule!

 

DITE QUELLO CHE FATE!

Nonostante una diffusa sensibilità psicologica, persiste ancora il pregiudizio che sia meglio mantenere i bambini all’oscuro di tutto. Per il loro bene, naturalmente!

Il figlio è già nel conflitto dei suoi genitori, non si tratta di farlo entrare nel campo di battaglia, ma di considerarlo un soggetto, con diritto di parola. Spetta agli adulti, che partecipano all’evento, coinvolgerlo, non tanto nei loro problemi quanto nei suoi  problemi.  

La consapevolezza, di ciò che si sta vivendo, aiuta a superare la paura che s’insinua negli interstizi dell’imprevisto e dell’ignoto. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla apparente indifferenza dei figli, dal fatto che non fanno domande, non ascoltano i discorsi che si fanno in loro presenza, appaiono allegri e spensierati. I figli respirano l’atmosfera familiare e avvertono, seppure inconsapevolmente, tutti i rischi  che incombono. I silenzio diviene, come nei migliori film gialli, la peggiore delle minacce.

Anche la menzogna – papà è lontano per lavoro - ha un aspetto destrutturante, perché il sospetto dell’inganno tende a dilagare su tutti i rapporti rendendo il bambino troppo disincantato per credere a chicchessia. La durezza è nei fatti. Si tratta di lenirne l’impatto emotivo. Altrimenti si lasciano fuori i più piccoli nel difficile compito di registrare l’evento, fissarlo nella memoria, dargli un senso. Quel giorno rimarrà impresso nella memoria come un flash che segnerà uno spartiacque nella vita di tutti: un “prima” e un “poi” difficili da ricomporre. Quando tra genitori e figli si era precedentemente costituito un patto di fiducia ed alleanza, occorre conservarlo come il più prezioso dei beni. E la fiducia si basa sempre sulla verità, anche la più dolorosa. Naturalmente il modo di comunicare una decisione così importante per la loro vita varia a seconda delle circostanze, dell'età e del sesso dei figli.

Al giorno d'oggi i bambini e gli adolescenti sono più sensibilizzati al problema di una volta. La maggior parte dei bambini , anche piccoli, conosce la parola divorzio perché l'ha già sentita pronunciare in casa o a scuola. Tutti hanno amici che hanno già affrontato quella situazione e , per fortuna, sono lì a dimostrare che alla divisione dei propri genitori si sopravvive. Tuttavia la paura è forte: il bambino teme che la crepa che si è aperta tra mamma e papà divenga una voragine che lo inghiotte, facendolo precipitare nel nulla.

Spesso quando avviene il momento della comunicazione molte cose sono già avvenute. I bambini possono già aver sentito frasi, parole... e anche se non sono ancora in grado di comprendere quelle parole, ne colgono sicuramente il tono emotivo. Prima di capire le parole siamo infatti in grado di intenderne le vibrazioni, ciò che passa tra le parole, la musica del “detto” e del “non detto”. I bambini si preoccupano quando i genitori si comportano in modo insolito  e , anche se al momento sembrano non essersi accorti di nulla, la sera, nel lettino, tra sé e sé rimuginano, fantasticano, formulano ipotesi e sospetti. Alla fine l'insicurezza protratta incrina la spontanea immediatezza dell'infanzia, un'apertura al mondo che non conosce filtri, remore, patteggiamenti. E che risulta pertanto particolarmente fragile.

Il pensiero immaturo tende ad essere assoluto: tutto o niente, sempre o mai, vita o morte. Solo la parola adulta, sostenuta da energie positive, è capace di introdurre mediazioni rassicuranti, di declinare gli avvenimenti nel tempo, di garantire continuità alle relazioni e ai sentimenti. Deve trattarsi però di una parola “vera”, capace di esprimere al tempo stesso i pensieri e gli affetti, le intenzioni e le emozioni, dev'essere una parola viva, aderente alla “pelle dell'anima”.

Per pronunciare un discorso giusto, e opportuno, i genitori devono svolgere un lavoro preliminare: bloccare il meccanismo automatico delle reazioni fisiche e mentali agli stimoli interni ed esterni e , prendendo le distanze da ciò che sta accadendo, compiere un'elaborazione di secondo grado, “pensare il pensiero”. Concedersi una tregua e trovare, prima di incontrare i figli, un accordo col partner può essere un primo passo verso l'armistizio. Non si tratta di farne degli alleati o dei complici, basta ottenere, per quanto possibile, la  loro neutralità. Un patto di non belligeranza spiana la strada a tutti e, per il momento, è il massimo che si possa chiedere. Le conseguenze di una comunicazione sbagliata o mancata non sempre si colgono subito. Possono turbare gli atteggiamenti dei figli anche molti anni dopo.

È probabile che il momento opportuno non esista e che ci si debba accontentare di una certa approssimazione: comunque è meglio parlare che tacere, agire piuttosto che fare finta di niente. Pur sapendo che molte volte sono gli eventi a decidere per noi.

 

FATE QUELLO CHE DITE!

Alla fine del loro mondo, portata dalla comunicazione della separazione, molti bambini reagiscono creandone uno tutto loro, immaginario.  Il bambino è come se vivesse una gratificante fantasia di autosufficienza, che, nel caso della separazione familiare, non viene scalfita neppure dalle numerose alternative (i nuovi compagni dei genitori, la ricomposizione di due famiglie). Quanto più aumentano le figure parentali, sfumano i ruoli familiari, le presenze si fanno precarie e i rapporti intercambiabili, tanto più il bambino si convince che può contare solo su di sé. Ma non sempre l'autonomia è un bene. Se prematuramente indotta, rischia di impoverire l'economia psichica per mancanza di scambi. 

Prima di prendere atto che i suoi genitori non staranno più insieme, il bambino cerca in ogni modo di preservare la speranza, pensando che è possibile tornare indietro, che il distacco si ricomporrà e tutto sarà come un tempo, quasi che nulla fosse accaduto.

 

Nello spazio dell'illusione ogni cosa può realizzarsi. Ad esempio il piccolo può pensare che se papà pranza o dorme con loro, a casa, vuol dire che sta ancora in famiglia, che è tornato a casa per sempre. Su questa cosa fantasticherà e all'indomani, la sparizione del padre lo deluderà, lo farà sentire ferito, fragile e, se adolescente, anche un po' “pirla” perché esposto, come i piccoli, agli alti e bassi della vita.

Una volta presa e comunicata la decisione è meglio non creare equivoci. Basta un pranzo insieme al ristorante, soprattutto nei primi tempi, per bruciare un lungo lavoro di riassetto mentale dei figli, pronti a credere o sperare che tutto tornerà come prima. E' bene ricordarsi sempre che il bambino ha bisogno e diritto di ricevere chiarezza e coerenza da parte degli adulti e soprattutto dai genitori.


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