Le parole per dirlo

Le parole per dirlo: come comunicare la separazione ai figli


La comunicazione della separazione ai propri figli è una parte difficile dell’intero processo.

Molti figli soffrono all’annuncio della separazione dei genitori, perché subiscono la loro decisione e tendono a sentirsi impotenti di fronte ad un evento stressante ed imposto. In questi casi reagiscono con dispiacere e sorpresa. Diverso è invece per i figli che sono stati esposti a conflitti prolungati e violenti, per i quali la separazione giunge come una liberazione, un sollievo. Esiste poi un gruppo di figli consapevoli che i genitori stanno male assieme, ma che non si aspettano che i genitori arrivino a separarsi.

Spesso i genitori rimandano il momento della comunicazione ai figli o perché pensano siano troppo piccoli, o perché sono riluttanti a dare troppe spiegazioni. È dimostrato come il non parlare della separazione possa portare i bambini, soprattutto piccoli (sotto gli 8 anni) ad addossarsi la colpa per circostanze e fenomeni che non capiscono.

Altre volte invece capita che i figli vengano usati come “complici” da uno dei due genitori, che si confida con il figlio prima di comunicare la scelta al partner oppure glielo porta via senza avvertirlo. In questo caso i figli si sentono colpevoli e traditori nei confronti dell’altro genitore.

La cosa migliore nei confronti dei figli è quella di dire sempre la verità, ovviamente “adatta alla loro età” sulle ragioni che li hanno portati alla separazione.  Fondamentale è  ripetere più volte che la decisione riguarda soltanto i genitori, ricordando che si può cessare di essere marito e moglie, ma si resta padri e madri per sempre: esistono ex coniugi, ma non esistono ex genitori o ex figli.

 

QUANDO DARE LA COMUNICAZIONE

Il momento più opportuno non dovrebbe essere né troppo prima né troppo dopo la separazione. Se l'anticipo è eccessivo, i bambini più piccoli se lo dimenticano e i più grandi si convincono che l'allarme è rientrato e tutto il procedimento dev'essere ricominciato d'accapo. Se invece l'annuncio è troppo ravvicinato manca il tempo per elaborarlo e il trauma dell'addio gli coglie impreparati. La valutazione del tempo varia secondo l'età: da una settimana per i più piccoli a un mese per gli altri.

Può essere d'aiuto approfittare di un cambiamento familiare come l'arrivo dei nonni, l'inizio delle vacanze, della gita scolastica...per minimizzare la rottura delle abitudini quotidiane.

Buona cosa sarebbe scegliere un momento familiare tranquillo, senza la presenza di altri soggetti se non i genitori e i figli. Ad esempio il dopo pranzo domenicale, che rappresenta un momento d'intimità rispetto alla fretta dei giorni feriali.

CHE COSA DIRE?

Che cosa dire e quanto dire ai figli dovrebbe essere rapportato alla loro età e alla loro personalità.

 

Se la separazione avviene durante la gravidanza: gli studi neuropsicologici hanno dimostrato come la nascita della mente inizi quando, da un'originaria indistinzione dalla madre, il feto inizia a separarsi integrando le funzioni sensoriali e motorie in un'unica esperienza. Si costituisce un nucleo rudimentale di sé, in grado di porsi in relazione con l'ambiente in cui è immerso e di recepirne gli stimoli. Negli ultimi mesi il nascituro è in grado di cogliere gli stimoli che provengono dall'esterno, di assegnare loro toni di gradevolezza o sgradevolezza, di piacere o dolore, e di memorizzare quelle prime percezioni. Per tanto le liti in famiglia non lo lasciano di certo indifferente: urla, rumori violenti, spinte ed eventuali percosse vengono probabilmente percepiti come minacce alla sua sopravvivenza anche se non sono rivolti a lui e lo colpiscono solo accidentalmente. In questi casi è meglio interrompere la convivenza e porre il nascituro al riparo da conflitti e tensioni che patisce senza poterli adeguatamente fronteggiare. Il suo apparato percettivo è “senza pelle” e quindi può avvertire come estremamente minacciosi stimoli che magari per gli adulti non sono tali.

Non basta interrompere la guerra dichiarata e agita tra i genitori, ma occorre lavorare anche su quella mentale, che sfugge al controllo razionale. Occorre pacificare gli affetti , dar tregua ai sentimenti negativi, placare le convulsioni emotive della mente e del cuore, perché sembra che gli stati di tensione e di precarietà passino da madre a figlio anche attraverso un “cordone ombelicale psichico”. Una buona gestazione richiede la disponibilità di un grembo psichico oltre che di un grembo fisico. Nove mesi di tregua non sono eterni e potrebbero evitare ai figli conseguenze di lunga durata.

 

Dalla nascita ai due anni: nel primo periodo la mamma e il suo bambino vivono una relazione particolare. Il piccolo passa da una fase di indistinzione con la sua mamma ad una condizione di individualità sostenuta da sentimenti di sicurezza e di fiducia che saranno alla base della sua crescita. Per lui la mamma è tutto: il mondo, la fonte di vita, l'amore, la base sicura dalla quale salpare e alla quale tornare per il rifornimento affettivo. Con lo sviluppo dell'apparato psichico il neonato “organizza” pian piano il suo rapporto con il mondo, acquisisce il senso di sé e impara a porsi in relazione con gli altri. In questo importante periodo i conflitti coniugali possono invadere la mente materna, rendendo imprevedibili comportamenti che dovrebbero svolgersi con naturalezza. Se la madre non riesce ad “adattarsi” alle richieste del figlio, sarà il bambino ad adattarsi alla madre, sottoponendosi ad uno sforzo eccessivo per la sua età. Il bambino non parla, ma può manifestare il suo disagio attraverso il corpo. Se invece riesce a parlare potrebbe comunque non farlo, perché non trova le parole per esprimere il suo dolore.

Neppure quando il bambino è molto piccolo e non è in grado di parlare il silenzio è la cosa migliore. I più piccoli hanno mille antenne per percepire i nostri stati d'animo e tenerli all'oscuro significa oscurare una parte della loro mente. Le esperienze vissute dal bambino nel periodo pre verbale si sono comunque “registrate” nella memoria implicita, rimangono nella preistoria della sua vita. I residui non elaborati di questa preistoria possono continuare a condizionare silenziosamente il futuro del bambino.

È importante che anche il padre, spesso la figura che si allontana dal nucleo famigliare, possa vedere con regolarità il bambino. Quindi i bambini vengono allevati da entrambi i genitori con una riorganizzazione dei tempi e degli spazi. La funzione genitoriale è uscita dagli stereotipi, quindi il materno e il paterno sono intercambiabili. Se il papà è in buona sintonia col figlio, compie le stesse funzioni della madre, ma in modo diverso.  La madre contiene, protegge, il papà incentiva a crescere. Il bambino comprende e assimila entrambi i messaggi, li fa proprio perché corrispondono al suo compito evolutivo.

Meglio comunque evitare lo svezzamento, e gli 8 mesi (paura dell'estraneo), evitare se il bambino soffre di una malattia acuta, attendere che sia ben inserito all'asilo nido o affezionato alla nuova baby sitter.

 

Dai 3 ai 5 anni si entra nel periodo definito edipico, il fulcro dello sviluppo psichico. Mentre nel periodo precedente le tensioni familiari interferivano soprattutto con i processi di attaccamento, in questo vengono a turbare in particolare i processi di individuazione che, attraverso l'acquisizione di una definita identità sessuale, permettono al bambino di dire “io sono un maschio” e alla bambina “io sono una femmina”, un “io “ fondato sul sé e non solo sul rispecchiamento materno.

Il bambino a 3 anni ha di solito raggiunto una buona capacità di verbalizzazione, per cui è in grado di esprimere a parole i propri bisogni e i propri desideri, purché trovi negli adulti sufficienti capacità di ascolto. Anche se in questa età altre figure entrano a far parte della vita del bambino, rimane la necessità di avere punti di riferimento saldi, perché l'interazione tra realtà e fantasia immerge i piccoli in un mondo magico dove tutto è possibile, ma dove è anche potenzialmente spaventoso. La speranza (che i genitori si rimettano insieme) a questa età è più radicata, perché i piccoli sono convinti che i sogni si avverino, basta volerlo.

Nella fascia d’età 3 - 5 è opportuno che i genitori, insieme, spieghino ai figli la loro decisione, per evitare che questi colpevolizzino il padre o la madre in particolare per la separazione. In questa fase i genitori dovrebbero anche ammettere di essere tristi per non essere capaci di vivere bene insieme, perché così aiutano i figli ad esprimere i loro sentimenti di tristezza e di rabbia. Siccome a questa età il divorzio viene inteso come perdita del genitore che va a vivere fuori casa, i bambini devono essere anche rassicurati – se è vero – che continueranno a vedere spesso il padre o la madre che va ad abitare altrove.

È inoltre fondamentale che un genitore non sostituisca il partner, che se ne è andato, con il figlio.

Il rispetto dei figli richiede di dire la verità, non necessariamente tutta: la verità non cessa di essere tale per il solo fatto di essere parziale.

 

L'età che va dai 6 ai 10 anni, definita un tempo età di latenza in quanto rappresentava una parentesi di bonaccia fra i turbamenti dell'infanzia e quelli dell'adolescenza, oggi vede un anticipare le tappe dello sviluppo, cosicché l'infanzia diventa sempre più breve e la pubertà, soprattutto per le femmine sempre più anticipata. In questo momento i rapporti con i genitori diventano meno appassionati, più neutrali. Il vuoto lasciato dai corpi che si distanziano viene man mano occupato dal dialogo. I desideri dell'infanzia e le impossibili pretese d'amore del bambino piccolo lasciano il posto ad un forte senso del pudore ed a un nuovo cammino evolutivo, che consiste nell'entrare a far parte del gruppo dei coetanei, della classe, della squadra e nell'apprendere a collaborare con gli altri più che ad affermare se stesso.

Negli anni della ragione i bambini si attendono dai genitori comportamenti limpidi e coerenti, e scoprire debolezze che non sanno comprendere, li sconcerta e li disorienta.

Di fronte all'eventualità che i genitori si separino a quest'età i bambini sono soprattutto preoccupati di perdere il benessere. La loro moralità è pratica: è bene quello che fa star bene, è male quello che fa star male. È più che mai utile parlare con loro e aiutarli a vincere il timore dell'abbandono prima che dilaghi e diventi paura di tutto, paura della paura.

È molto importante avvisarli per tempo della separazione e presentare loro dei motivi concreti che la rendono opportuna.

 

Ai figli preadolescenti e adolescenti, poi, si possono spiegare le ragioni relazionali e psicologiche che l’hanno provocata. In entrambi questi casi, comunque, è molto importante dire loro che si è deciso di separarsi un po’ prima che uno dei due partner abbandoni la casa, in modo che i figli abbiano la possibilità di parlare e reagire di fronte ad ambedue i genitori. Spesso il figlio di quest'età si schiera con il genitore convivente, specialmente quando è la madre ad essersi allontanata da casa.

Il genitore con il quale il ragazzino passa maggior tempo diventa spesso noioso, perché interviene nella vita quotidiana con divieti e raccomandazioni. Il genitore della domenica viene idealizzato e contrapposto a quello feriale. Tuttavia ogni figlio ha bisogno di non perdere nessuno dei due genitori. Spesso accade quindi che egli riversi su di sé la colpa della separazione familiare. Soprattutto se il figlio è unico e costituisce il collante della coppia, il motivo per cui i suoi genitori si sono messi insieme.

Quando ai mutamenti dell'adolescenza si somma la crisi dei genitori, le normali spinte centrifughe subiscono una repentina accelerazione. Invece di essere l'adolescente a sottrarsi allo schema familiare secondo la propria strategia, è la struttura stessa della famiglia che viene meno. Questo crollo delle strutture portanti della casa spinge i figli fuori dalle pareti domestiche, costringendoli a volare anche quando, non sentendosi pronti per il lancio, avrebbero preferito indugiare ulteriormente sul cornicione. La separazione può accelerare un'emancipazione legata all'età, ma quando la dinamica è davvero prematura il rischio è che i ragazzini invertano la direzione e si rifugino in fondo al nido per non affrontare la vertigine del vuoto. Lo spaesamento può colpire anche i genitori, suscitando nei confronti del figlio reazioni di attaccamento, atteggiamenti e comportamenti adesivi difficili poi da superare.

In generale, i figli vorrebbero sentire di poter fare domande e ritornare in futuro sull’argomento, qualora sorgessero in loro nuovi interrogativi in merito.


Scrivi commento

Commenti: 0